I vari tipi di utilizzo problematico di Internet
Prima di leggere considera che tale tipo di classificazione non appartiene ancora alla nosologia psicopatologica internazionale ma si riferisce più a fenomeni studiati recentemente da vari esperti. Inoltre non si vuole assolutamente suggerire che Internet in sé sia dannoso, lo consideriamo piuttosto un elemento che va a modulare forme personologiche e psicopatologiche per formare i fenomeni sotto descritti.
Tale tipo di dicitura indica l'abuso di condivisione delle proprie informazioni personali rispetto alla rete: la mancanza di controllo di quanto viene condiviso online (dai post ai commenti sino alle informazioni più intime). Si può, da un certo punto di vista, sostenere che l'oversharing, per definizione sia l'autentica invasione del mondo online nella vita privata della persona; tutto sul piano molto soggettivo, ovvero la difficoltà di discernere quali siano i limiti fra la realtà quotidiana ed il mondo virtuale, e quindi il saperli applicare anche alle norme di comportamento.
Un esempio lampante di oversharing può essere il condividere ripetutamente ogni aspetto o azione della propria vita quotidiana su un social. L’oversharing quindi oltre ad essere l’emblema dell’invasione del mondo online nella vita della persona, può causare anche delle problematiche che oltrepassano il livello psicologico e talora sfociano addirittura in quello legale, ad esempio le persone che si lasciano andare a dichiarazioni o insulti senza rendersi conto delle ripercussioni che potrebbero avere sul piano legale.
La chat, presente in larga parte ed in molti contesti virtuali, è un modo per entrare istantaneamente in contatto con qualcuno, praticamente ovunque vi sia una connessione Internet. Come ogni funzione di Internet, l’utilizzo della chat non è patologico in sé, lo diventa quando le relazioni della persona si relegano unicamente alla chat del sito e quando influisce negativamente sul funzionamento quotidiano dell'individuo. In sostanza quando diventa il mezzo predominante per la comunicazione interpersonale dell’utente ed arriva a sostituire o compromettere le relazioni fuori dalla rete. Il profilo in rete, in tali casi, sostituisce nel mondo sociale la persona che lo ha creato, inducendola a investire sempre più tempo e risorse nella gestione dell’avatar.
Il fatto che l’utente cerchi l’altro online di per sé è una ricerca di contatto sociale. E’ proprio il fantasticare su sé e sull’altro che spinge l’utente a legarsi sempre maggiormente alla chat, non solo si idealizza l’altro, ma trova un luogo privato per mostrare un “sé ideale”, potendo diventare la persona che avrebbe voluto nel quotidiano. Vi sono due tipi di utenti chat: coloro che la utilizzano per scambi unicamente virtuali ed idealizzati con altri utenti, e coloro che usano la chat per poter incontrare potenziali partner.
La dipendenza da chat può essere anche guidata dalla paura delle relazioni interpersonali faccia a faccia, l’utente perciò dietro il suo profilo online si può sentire protetto dall'ansia che altrimenti insorgerebbe se avesse l’altro davanti a sé.
Qui si entra nel tema di Facebook e di quanti "amici", quanti contatti, si hanno. Lo psicologo britannico David Smallwood conia il termine “Friendship addiction”, nel 1998, sul Daily Mail (http://www.dailymail.co.uk/sciencetech/article-1079633/Facebook-blamefriendship-addiction-women.html) affermando come Facebook aumenti l’insicurezza degli utenti, che poi non riescono a separarsi dal network. D. Smallwood spiega: "Il problema con Facebook è che l'acquisizione di nuovi amici è per quasi tutti un processo di assuefazione. L'acquisizione di amici è come qualsiasi altra fissazione, solo piu' competitiva. Si viene giudicati da quanti amici online si hanno". Qui la caratteristica additiva, quasi di dipendenza, sta nel rituale di aggiungere sempre più contatti alla propria lista “amici”, spesso secondo lo psicologo italiano Enrico Maria Secci (2010) tale fenomeno serve a sviluppare una percezione di popolarità che dietro essa nasconde numerose insicurezze sull'immagine di sé. Così il soggetto dipendente da Facebook sperimenta nella vita quotidiana un crescente senso di inadeguatezza e di irrealtà, fino a preferire l’attività online all'interazione faccia a faccia.
La dipendenza dai giochi su Internet è particolarmente studiata nel mondo scientifico. I primi studi risalgono addirittura al 1980, con l’avvento di 'Campo Minato' e 'Solitario' su pc: molti impiegati trascorrevano la maggior parte del tempo a giocare piuttosto che lavorare, e questi giochi all'epoca non erano nemmeno su internet (Cannavicci, 2008).
Uno studio francese (Baer S. et al. 2012) mostra che dei ragazzi di un liceo, affetti da internet addiction, hanno un tempo medio di esposizione ai giochi online di 4,5 ± 2,4 ore/giorno.
Negli adolescenti, e non solo, anche negli adulti, vi sono parecchi giochi che portano la persona a ritirarsi socialmente. Spesso sono giochi caratterizzati dalla gestione di avatar virtuali, ma anche semplicemente giochi per cellulari che la persona usa per "riempire" ciò che ritiene una perdita di tempo.
Questo termine indica il forte disagio al momento di restare senza cellulare, ovvero senza connessione internet.
Molte persone hanno estremamente paura di rimanere senza la “presenza” del proprio telefono cellulare. Un sondaggio su 1000 persone, nel Regno Unito, promosso dalla società di sicurezza digitale SecurEnvoy, mostra che circa il 66% delle persone nel campione hanno paura della perdita o di essere separati dal loro telefono. E il 41% delle persone dicono di avere più di un telefono. Lo studio suggerisce che almeno alcune di queste persone hanno quello che viene chiamato “nomophobia”, definita come fobia di rimanere senza contatti con qualcuno tramite telefono cellulare (Sindrome da Disconnessione).
Un sondaggio britannico (http://www.securenvoy.com/blog/2012/02/16/66-ofthe-population-suffer-from-nomophobia-the-fear-of-being-without-theirphone/)133 su 1000 persone ha messo in luce un dato interessante, se non allarmante: molte persone hanno estremamente paura di stare “sole” senza il telefono cellulare.
Spesso tale forma ansiosa nasconde dietro di sé la paura di star soli, di non avere sotto controllo l'altro o la paura di perderlo.